Ho visto l’altra sera “Estranei” (All of Us Strangers), il film del regista inglese Andrew Haigh uscito nel dicembre 2023, ora in streaming su Disney..

Molti amici me ne avevano parlato come di un film densissimo, e conturbante, e nei fatti lo è. 

Al centro di una Londra magnificata da una fotografia inappuntabile, oscilla fra un presente solitario e ferroso e un’atmosfera, del tutto differente, sottolineata da una soundtrack anni 80 sulla quale si staglia la luce di Build degli House Martins, e nella quale si strugge The power of love” dei Frankie Goes to Hollywood.

Ora, che il film sia racconto di fantasmi pare essere una delle versioni possibili, sebbene alla mia lettura sia arrivato qualcosa di diverso. 

In una estraneità alle persone che amiamo, e persino a noi stessi, sofferta e dispiegata negli anni nella ricerca di un senso nella scrittura di storie (Adam, il protagonista, è scrittore e sceneggiatore di serie televisive), e in una solitudine londinese forse più cercata che incontrata. 

In questa, nel silenzio agghiacciante abitato da allarmi antincendio di un grattacielo deserto, Adam incontra, piano piano se stesso. E, in un certo senso, è a se stesso che si rivela in una sorta di crollo psicotico nel quale va a situare via via i non vissuti di una vita. Il tepore perduto troppo presto delle abitudini familiari, il dolore per essere stato bullizzato da piccolo, il dialogo mancato col padre e la madre, la loro morte colpevole in un incidente sull’auto dopo l’alcol della notte di natale, la morte lenta della madre né vista né superata.

E in questo, in un cerchio di perdite, nel crollo di Adam fiorisce la gioia del corpo, l’intimità prima erotica che sentimentale nell’incontro con Harry, unico altro abitante del grattacielo, che si offre ad Adam su un piano di realtà e che Adam consegna alla sua opera di recupero esperienziale e psicotico rendendolo parte della risoluzione dei suoi fantasmi: l’assenza di un eros vissuto, il non essersi mai innamorato, il lasciarsi curare da mani che ci scoprono avvolgendoci.

La semplicità controversa dei coming out, la forza dei corpi non violenti. C’è quindi in questo crollo psicotico nel quale Adam infine si “accoccola tondo” (portando, fantasmatico e shining, Harry nella propria casa, per amarlo e lasciarsi innamorare) più che un disastro e un tremore, una ipotesi di vita vera estranea al mondo, tanto isolata quanto salvifica. Tanto irreale quanto profonda.

A conti fatti, l’ipotesi del cinema Ghosts, e del Sesto senso, mi sembra inaccessibile, insufficiente alla bellezza del film. Che molto dice di come socialmente la solitudine e la sofferenza mentale siano estranei alla comprensione comune.

Vedetelo, vediamolo, fa bene e male al cuore.

(ng, maggio 2024)

Smalltown boy

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