a dire del presente… del futuro (non me ne vogliano gli autori)

E’ da giorni che penso a come, in questa campagna così poco educata, seria e rasserenante, al di là delle posizioni di ciascuno, sia possibile condividere una preferenza di voto senza che arrivi vuota, inutile fra convinzioni radicate di alcuni e in mezzo allo sconforto interrogativo di altri. 

Come sempre, convintamente decisa ad esprimere preferenza, ho fatto una scelta che renderà valido il voto, sulla quale magari tornerò nella prossima settimana, e che comunque condivido nei momenti fisici di incontro fra le persone. 

Eppure, da altrettanti giorni, ho dentro una scelta di ascolto, una preferenza di riflessione, che è andata a cercare proposte fra le parole “intese”, incontrate, cercate, in questi mesi e giorni. 

Perché quando si dispera di trovare un indirizzo che si voglia seguire o raggiungere, quell* come me comprano libri. Leggono fumetti. Vanno al cinema. E sperano di trovare, se non senso, almeno conforto. Così, vengo al punto. 

In vista di queste elezioni, non trovo di meglio, oltre ad esprimere una preferenza che ci rappresenti per il possibile, e proprio per arrivare a questa, che invitare alla lettura di tre libri, planati a casa mia fra qualche mese fa e pochi giorni, nei quali ho trovato, provato, con brivido di spaesamento accompagnato da calore di prossimità sentimentale, il nucleo delle cose che non voglio dimenticare l’8 e il 9 giugno andando a votare. 

Dei tre libri mi piacerebbe dire con calma dopo i giorni furiosi delle elezioni. Se me ne sentirò capace. Intanto però voglio condividere il dovere all’attenzione che mi hanno generato dentro leggendo, e in un caso “guardando”. 

Non so come voteranno i tre autori, ma è non essenziale questo. L’essenziale è la loro dimensione sentimentale e politica del mondo, e della persona. 

Anzi, vorrei dire, il loro profondo rispetto per “la” persona. Non buonista, non retorico, invece profondo, inalienabile al loro modo di essere letteratura.

I tre libri, in foto sotto, sono Yara, il true crime, di #GiuseppeGenna; In bilico – di segni allarmati, di #AldoPrestaDimenticami dopodomani, di #AndreaDiConsoli

Ho letto molti bei libri quest’anno, e molti avrei voluto leggere e sono rimasti all’inizio o a metà. Ma questi tre, inesorabilmente, hanno scavato un solco d’attenzione per me ineludibile, oggi, alle soglie del voto. 

Parto da Genna, dalla sua poetica dell’insostenibile, dello strazio del corpo dell’altro, della crocifissione laica. Della perdita struggente del desiderio di una dignità umana. Della caduta nel “secondo me.” Pochi come Giuseppe Genna descrivono i luoghi, e la reazione del corpo interno e della pelle ai luoghi. Le periferie, le funzioni funebri, le aule dei tribunali, la trama della cronaca. Quello che siamo. Quello che viviamo. Ecco, io di quel libro, Yara, andando a votare, non devo dimenticare nulla. La mia scelta deve ricordare cosa è andato perduto, quale strada non siamo più abilitati a percorrere, nemmeno dentro. E “quale rivoluzione non avremo mai più“. 

Passo ad Aldo Presta, con un po’ di fatica perché la vicinanza natale, in qualche modo, se da un lato non entra in gioco, dall’altra mi ha sorpresa, a tratti, come se quell’”in bilico” si fosse fatto materia del mio, in un nostro, un po’ nostro passo sospeso. È un libro per immagini. Schizzi, sintesi grafiche di poetiche e poetiche, piccole prose che fanno parte del libro senza che se ne sposti la forma. Ed è la cosa più politicamente schierata che abbia letto, come intelligentemente annota la coautrice per la parte testi Silvia Vizzardelli, quando dice: “È importante acutizzare il senso del segreto che accompagna le nostre parole, le nostre azioni, i nostri gesti. Non coincidere coi nostri atti, avvertire un disordine, una cicatrice, una inadeguatezza: questo significa offrire una chance all’origine”. Le più belle pagine sul femminicidio le ho lette qui. Così come è magistrale quel tratto che passa a volte fino a de-scrivere senza lasciare il foglio, che si compone su una pagina che scompone la scena, che va da pieni a vuoti che non sono vuoti mai, che piuttosto “tengono” quel qualcosa che non sappiamo se sia passato giù, inghiottito, o forse ancora sia lì a ridirsi bisognoso di argine. Verdi verticali che liberano gli alberi, ed una tavola che si dichiara sempre come atto d’amore, nonostante il dolore, nonostante le domande e il rischio di quello sbilanciamento che non avviene. Che tiene. 

E infine, qui la terza preferenza: vota a partire da Di Consoli. Cosa mi porto in cabina da questo suo libro letto d’un fiato, e poi tremato d’un fiato, e poi riletto nella forma che si deve al poemetto in prosa, al canto notturno, alla lettera breve di un lungo addio che non si dice, ma si vive e senza sosta? Il sentimento di non essere soli pur sentendosi soli irrimediabilmente; mai sufficientemente soli o spesso insostenibilmente soli, e nonostante la più determinata consapevolezza del pericolo che la terra frani, che il corpo ceda, che l’altro ci dimentichi, che noi potremmo non vedere più: la terra, la pelle, il dolore e il disamore, e nemmeno l’amore, e la bellezza, e la gioia selvaggia, nonostante tutto questo vivere. Con la paura, persino nel terrore.  Questo “essere gettati” che Andrea Di Consoli mi sembra non accettare mai e rincorrere sempre, come un duello di versi fra la morte e la morte, fra la vita e la vita. Un libro dove non c’è trascendenza ma corporeità innegabile, che ci sostanzia e ci definisce. Che ci apre e ci dice. Vita che siamo, e sappiamo. Quel sapere che la Restanza, così amata come ipotesi salvifica, non saremo mai noi. Peccato, forse, ma è così. Ecco dunque che da questo libro porto in cabina, il sentimento profondo del tempo, delle parole che descrivono i silenzi, di un orizzonte che non ha infinito ma vede infiniti: sfinimenti, sudori, tremori. E la parola maschia, così diversa dalla scrittura femmina. Perfettamente, esattamente. Perché se in cabina ci dimentichiamo di questo, non so bene quale sia il senso nella scelta che facciamo quando andiamo a votare. 

Insomma, invece di leggere programmi, intossicarci con dibattiti televisivi che le forze oggi di maggioranza rendono avvilenti, infarciti di arroganza, ineleganza, presunzione e disprezzo dell’altro, vi prego, tiratevi fuori.

Nel vostro cuore sapete già se scegliere una libertà o una costrizione, una speranza o una rinuncia, una convinzione di poter ancora fare o una partita chiusa. Sapete già se va bene accontentarsi o volere anche le rose.  Date il vostro tempo all’ascolto. Ma all’ascolto vero.

Io l’ho fatto, in questi mesi e giorni, con questi tre libri nel cuore, e ai loro autori sono, da lettrice comune, assai grata. Perché la politica è questo. Quello che ho trovato leggendo. Da questo soltanto possono nascere desideri, scelte, occasioni che non siano perdute.

Di questo non devo perdere memoria in cabina: che la politica è una domanda, non una affermazione. Che la vita si con-versa.

(Roma, 31 maggio 2024)

Da Giuseppe Genna, Yara Il ture Crime. Bompiani 2023

Aldo Presta, In bilico – Di Segni Allarmati. LetteraVentidue, 2024

(ibidem, Silvia Vizzardelli)

Andrea Di Consoli, Dimenticami dopodomani. Rubettino, 2024

Nota sul titolo:
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