Neri Pozza 2024 – Letto per Emons su Audible da Valentina Bellè
Nata nel 1997, da padre libanese, e poi cresciuta fra le alpi francesi in una condizione di povertà e convivendo con la madre e il patrigno (entrambi giovanissimi), Neige Sinno ha scritto uno dei libri più umanamente veri, intelligenti, doloranti, sfidanti e feriti che io abbia letto. Devo al mio amico Osvaldo Chimenti l’avermelo segnalato, condiviso, era forse il libro che in questi mesi estivi, a chiusura di un agosto intimo e solitario, fra i pini centenari, avevo bisogno di leggere. Donna straordinaria, la quarantenne Neige. Capace di tutto quello che la nostra epoca recente ha distrutto.
Lucidità nel riconoscimento di emozioni, sensazioni, esperienze, traumi, soggettività, sfumature, dubbi, evidenze, complicità sottintese. Nell’esperienza atroce dell’abuso ,che inizia nella sua età infantile, è una bambina di meno 9 anni quando il patrigno abusa di lei la prima volta, percorre tutte le strade che sono in parte condivise quando si è vittima di abuso (sia esso fisico, psicologico ed entrambi). Senso di sottomissione, dolore, smarrimento, solitudine.
Domande su se stessa e sull’altro, su cosa siano la vicinanza e la distanza nel luogo familiare, come si possa separare l’orrore della violazione, continua nel tempo fino ai suoi 16 anni, dal vissuto che ogni adolescente che subisca un trauma prova faticosamente e catarticamente a tenere in vita.
Neige che spezza il silenzio complice del torturatore (per paura, paradossale affidamento, straniamento) incontrando all’università le persona a cui chiedere e dire, e poi dopo, decidendo per la denuncia, riuscendo a far convergere sulla denuncia del suo stupratore la madre, infine chiamata a fare i conti con la verità dell’abuso. Neige che sostiene un processo estenuante, nel quale sono tutti chiamati a ridire e ridire le parole, i fatti, gli abusi, i particolari. Confermando che non ci fosse consenso benché sembra impossibile a cuore umano immaginare il contrario in una bambina che ha fra 7 e 9 anni.
La potenza del racconto di Neige è nella ricerca estenuata e mai completa di esperienze e testimonia e trasfigurazioni e racconto in arte. Chiedendosi e cercando di vedere l’altro, l’antagonista, il sé che si è perduto nel trauma, con una sincerità impagabile e una onestà così profonda da arrivare a noi come un taglio, un dolore, ma anche pienamente come insegnamento di umiltà sentimentale.
Non c’è un territorio che si determini nella vittima e nel provocatore del danno che Neige Sinno non vada a indagare, non per sé, nn solo per sé, ma per capire come proteggere, come non fare accadere mai più. Si sente non riparabile, rotta in un punto che non può essere rinsaldato da nessun filo d’oro.
Segnata e cambiata ed entrata in quella terra delle ombre in cui si passa nello spazio e nel tempo in un parziale isolamento, riconoscendo mentre si attraversa la vita ogni “altro” che abbia dentro quello stesso sfinimento, di cui forse non si può sapere che però si riconosce, si “sente” nel vento che ti passa accanto nell’incrocio.
Nessuna retorica sulla scrittura come salvezza, sulla capacito di vedere davvero il trauma in chi non l’ha vissuto. Una discesa negli inferi quando all’inizio del libro prova partire con l’io narrante dell’aggressore. Per poi capire e condividere quanto chi ha subito un danno non possa essere confuso con chi lo nutre nella reiterazione del trauma di giorno in giorno, di anno in anno. C’è così tanto in questo libro che non è possibile toccare tutti i punti che sfiora, che porta. La Lolita di Nabokov, Annie Ernoux, Virginia Woolf, Foster Wallace, Christine Angot, Tomi Morrison, Margaux Fragoso, Blake, Michel Foucault, delineano percorsi che non molt* avrebbero la forza di sondare e di percorrere.
E che lei instancabilmente percorre.
Due cose però rimangono, come un dono prezioso, fra le nostra dita grate: capire che non sempre ci si può curare fino guarire da una ferita, ma che di questa ci deve prendere cura anche per gli altri; e che quello che accade nell’abuso infantile non può mai essere confuso con una libertà dei sentimenti, con una visione delle cose morbida, ambigua. La parola stupro, la parola bambina, Neige Sinno le ripete così tante volte e così chiaramente, da aprire davvero la porta su un inferno, che vuole essere invaso, smantellato, svelato.
Una ultima annotazione: pur avendo preso il libro in elettronico, ho preferito ascoltarlo in audiolibro. Letto magistralmente con umanità profondissima, prossimità e calore, e uguale netta consapevolezza del dovere della complessità, da Valentina Bellè. A lei la gratitudine sincera per aver vissuto l’ascolto come un monologo che parlava a me, in una stanza vuota. Nel silenzio, con amore.
Non perdete l’occasione di incontrare questa Triste Tigre. E, se potete, la voce che la legge in italiano.



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