
Il tristissimo delitto di genere, che ha visto vittima la giovanissima Sara, ripropone anche oggi, come ieri e come ogni giorno, la terribile realtà di un mondo in cui alle donne, con violenza viene sottratto il diritto a essere se stesse, nella piena determinazione di sé, in quanto donne, ovvero in quanto soggetto funzionale a una organizzazione maschile del mondo che relega il femminile a un ruolo subalterno. Questo nel lavoro, nella vita, e persino nel “pensiero” e nell’arte. La nostra cultura, anche quella più illuminata, decide per le donne e “incide” il corpo della donna. Ma, accanto a questo, l’insistenza sociale sulla paura che ha impedito che chi ha visto agisse o intervenisse quanto meno chiamando soccorso, rinvia a un secondo problema, di portata altrettanto atroce. In questo universo abitativo che sono le città, ogni vittima è sola. Ogni persona è sola con la propria paura. Nessuno è al sicuro. E quel che è peggio, è che la soluzione sembra essere la costruzione di un presidio armato, di una emergenza di forza pubblica invocata. Non siamo capaci di lavorare su un pensiero e un sentimento solidale, sappiamo solo invocare maggiore forza, maggiore sorveglianza. Ho una commozione profonda per la ragazza uccisa, in modo atroce, ma anche rispetto per la paura. Non è facile trovarsi per strada di fronte a qualcosa, che si sente essere orribile, e fermarsi. Certo, occorre che la paura si trasformi in azione (la richiesta di un soccorso che si vuole e deve essere immediato), ma fa parte di una logica del capro espiatorio accanirsi su chi non si è fermato, ed ha smarrito il sentimento del soccorso. Credo si debba e si possa agire per dare senso a una comunità di soggetti che devono percepire la strada come luogo comune, abitato dal desiderio di prossimità e non derubato da ogni convivenza. E’ sulla cultura della persona che esprimiamo che dobbiamo riflettere, ed è su questo che possiamo agire. Non è una società di polizia che garantisce la libertà e la pace, ma una società capace di agire e sentire il bene. Che non diventi, questo ennesimo femminicidio, il pretesto per chiedere di costruire prigioni persino per i sentimenti. Le donne, e gli uomini hanno diritto ad essere comunità.
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