Aldo Moro e Berlinguer, e Andrea Segre.

Ieri sera, all’Eurcine (sala piena, età media 60), La proiezione di Berlinguer la grande ambizione” è stata una immersione profonda nel 900. Non tanto e non solo nello spessore della politica, ma più di tutto in una dimensione sociale e di militanza ad oggi scomparsa.

I materiali d’archivio sono più che toccanti. I volti, i modi, gli sguardi fra persone, la città e le piazze gremite, i comizi e i funerali, le generazioni mischiate, le aule parlamentari, le fabbriche, ti riportano indietro quasi vedessi “La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri.

E’ un film che ha lo sguardo del PCI, nella sua forma migliore. Intelligente, interpretativa, empatica e proletario/borghese, forse un po’ moralista, ma tutto (come sappiamo) non si poteva avere.

Elio Germano è un Berlinguer impressionante, nelle movenze fisiche e facciali assimilate al corpo dell’interprete, nello sguardo, nello smarrimento sfumato del sé. La certezza della scelta morale di ogni comunista negli occhi, resistente nel pubblico (e forse anche nel privato) alla fragilità che ci ha divorato dal tardo 800 nei mondi dell’arte.

La colonna sonora di Iosonouncane non poteva essere più rispettosa del tempo e del suo sentimento. Il dialogo per il cambiamento con Moro, il confronto con l’omicidio politico attuato o tentato sui due, le correnti interne ai due grandi partiti (DC e PC), il dominio internazionale di Giulio Andreotti, la strategia della fermezza mai messa in discussione, gli oggetti di scena e le ambientazioni perfette, ti immergono, stordiscono e in un certo senso ti palesano il vuoto di oggi nella qualità della politica.

Vengo al punto più complesso da mettere in campo, senza il rischio di essere fraintesa. Le scelte narrative e di regia del finale, giocato dalla teoria della fermezza in avanti sul doppio binario della vita di Berlinguer e della Morte di Aldo Moro, fino a quella di Berlinguer 6 anni dopo, si concretizzano nel viaggio che porta dal dialogo di Berlinguer coi 4 figli, nel quale chiede di essere smentito se in caso di rapimento dovesse scrivere una lettera come le tante di Aldo Moro, insofferente e combattente nella sua dimensione di prigioniero politico.

Lettere tutte, quelle di Moro, intrise di umanità e forza del desiderio di vivere e operare per la democrazia e di non essere l’inutile martire della Conservazione e del Rigore, il cadavere da altri voluto che sconfigge di fatto, solo morendo, il terrorismo e le prime BR.

Lettera intima, quella di Berlinguer alla moglie (impossibile non pensare alla Norina per l’infinita tenerezza di entrambe le epistole) votata invece a un intimismo così frenato nella politica e così forte nel rapporto coi figli e con la moglie.

Ma una lettera, questa di Enrico Berlinguer, che parla di tempo perduto, di cose non vissute, e di rammarico per questo, là dove invece “la” lettera di Aldo Moro ha nostalgia del presente, del futuro e struggimento profondo per l’impossibile inversione di gesto che Moro sa sta per compiersi, togliendogli la vita.

La sintesi associativa che vivo è fra la solitudine del Mare, nel ritiro per rafforzare la scelta pubblica al ritorno, in Berlinguer, e il corpo salvo che ci ha donato Bellocchio nella sequenza di una Roma albina e freddissima nel suo film “Buongiorno notte.” per Aldo Moro.

E torna in mente, sia pure atrocemente in diminutio politica e sentimentale, la dialettica odierna interna al PD verso l’accoglienza vera della sua anima riformista, al suo interno e in campo largo, con Renzi.

Come se la capacissima Elly combattesse oggi le forze di apparato come ieri Berlinguer non veniva fino in fondo compreso nel suo dialogo con la DC di Aldo Moro, passando per la fronte alta e severa e conservativa di Andreotti.

Certo la statura culturale e politica non è paragonabile in questo tempo, sebbene sia Schlein che Renzi siano punte di diamante su terreno bagnato, ma a conti fatti se si segue questa libera associazione di idee, viene da dire che speriamo che la guerra mediatica a Renzi non somigli, in un centro che non lo ha voluto a suo capo, e in un centro sinistra che mette veti, al logorante e inutile e poco lucido “rigore morale” dei tempi del PCI di Berlinguer.

Andatelo a vedere, e forse ritroverete quella parte di voi che al mondo andava in corteo, a mani unite ed alzate con sentimenti d’amore, per la libertà e la vita. E fatelo vedere ai vostri figli, una parte di loro è pronta, per tornare e sopratutto andare avanti.

(ng, 3 novembre 2024)

2 risposte

  1. Il film non l’ho ancora visto. Posso però dire, avendo vissuto quegli anni di impegno politico e avendo avuto modo di incontrare Enrico al termine della manifestazione contro la mafia, a Piazza Farnese, a Roma, nel maggio 1984, che la statura politica io la percepii dalla curiosità con cui ascoltava noi ragazzi. Noi facevamo domande, ma lui, invece di risponderci, faceva altre domande a noi. Voleva sapere cosa facessimo (studio, lavoro, ecc…). Cosa pensassimo per il nostro futuro. E ascoltava curioso ed empatico le nostre risposte. Ci fissava negli occhi, lui così mingherlino, diventando per noi un gigante. Oggi guardo il panorama politico e vedo solo narcisi che si beano della loro verbosita’ autoreferenziale. E mi porto quel gigante nel cuore.

    Antonello

    1. Grazie Antonello. Hai posto l’accento su qualcosa di infinitamente bello: stare fra le domande dei ragazzi e delle ragazze, ascolto e prossimità. Oggi, in questo, solo isole su un mare troppo grande

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