
I rumori che vanno dal mattino nel giorno, e infine scendono come le onde del tramonto fino a toccare e piano invadere la notte, hanno qualcosa di straordinario. Sono come il rumore bianco che sedimenta dentro di noi umori, emozioni, consapevolezze inavvertite. Tessono la strada del nostro sentire e formano quello che ospita il pensiero, i sentimenti, i gesti, le cose. Roma è in questo senso una città ancora antica, i rumori cambiano da quartiere a quartiere, così le forme, i linguaggi, e i colori.
Qui dove vivo si sente tutto. In questi anni, 10 per me qui, ho avuto un’amica che fino a un anno fa incrociavo nelle piccole ronde abitudinarie del mattino: al bar per prendere le sigarette, risalendo e passando davanti alla stireria nella quale lavorava, in chiesa, dove era spesso; un uccellino in bicicletta, sembrava. Ci siamo conosciute negli anni, pian piano. Un po’ scontrosa all’inizio, poi si era aperta perché parlando avevamo scoperto di una città in comune, per lei la nascita nella stessa città di mare di mia madre, a Locri, città dismessa nel tempo dalle vite di tutte e due. Mi ha raccontato di come era stata abbandonata da piccola, e poi accolta da una famiglia, e di quanto aveva amato quella che lei chiamava “la Signora mia”, dove credo (immagino, non so, come accadeva nel tempo) lei aveva lavorato e vissuto fino ad assistere questa donna quando era volata su. La sua storia di abbandono infantile, e poi il suo avere una famiglia con cui vivere, e la sua provenienza dal mare, credo siano stati la ragione del nostro parlare.
E’ stata paziente con noi, con Cris e i compagni che spesso hanno giocato nel cortile davanti a lei. Quando le han rotto un piccolo sottovaso per i fiori, che credo fosse un ricordo della sua Signora, me lo disse dopo giorni, per spiegarmi il dolore di aver perso questo suo oggetto caro e di memoria. Ho impiegato un po’ a trovarne uno che potesse somigliare, ma mi è rimasta dentro la sensazione di non poter colmare quell’assenza d’oggetto, che d’oggetto non era, quando le ho portato con le scuse e con Cris un sottovaso rosso. Fra me e lei le parole sono sempre state poche, abbiamo parlato “con” le cose. E lei è stata, con una sofferenza crescente, e un tossire straziante negli ultimi mesi, il rumore bianco che ha accompagnato le mie ore di lavoro al pc qui a casa. Era un dolore ogni colpo di tosse, eppure il segno di una presenza. La complicità delle sigarette nelle ore dell’alba, fino a esser sgridate da qualcuno perché ci salutavamo alle 7 di domenica mattina, in quel piccolo rifugio esterno da trasgressori, dal cortile al terrazzo.
Ed era ancora un uccellino a Natale, quando credo che soffrisse immensamente anche per il non poter visitare un’altra Signora a cui ha donato gran parte del suo tempo di vita nella casa di Dio. Lei puliva e rendeva splendente il luogo dove noi ci rechiamo a pregare, e Davide ricordava, giorni fa, come fosse così misterioso questo sue essere piccola e capace di fare, in uno spazio enorme che teneva splendente quasi da sola. Ecco, era un po’, io credo, l’invincibilità dell’amore per la Madre. Forse lei è stata, per tutta una vita, un uccellino che diceva “Madre”, io sono con te. Ed adesso, da ieri sera alle 9, lei è lì, fra le braccia della Madre. Quando l’ho abbracciata con gli occhi, a Natale, era tutta rannicchiata nel letto, si è scusata per non avere anche lei un piccolo dono. Devo confessare che ero uscita per portarle insieme a un piccolo augurio un pacchetto di sigarette (nella mia testa pensavo che privarla di una cosa che negava ma che la scaldava da sempre fosse ben poco male nel gran male che la consumava ogni giorno). Poi però quelle sigarette son tornate fuori con me, perché non ce l’ho fatta a non proteggerla dal mio sciocco tentativo di volerla pensare viva e sana perché ancora fumava, salutandomi, una sigarette segreta.
Io la ricordo divertente e vezzosa, dirmi che era del ’65. Come me. Non credo fosse vero, ma forse quella era l’età che voleva e sentiva, perché forse era l’età in cui non era stata sola. Aveva amici ed amiche, era amatissima, in questi mesi le persone che hanno diviso con lei tempo, fede e luoghi, l’anno coccolata, con ogni forma di amore. La sua casa era un gioiello di rossi e di bianchi, e le era cara ogni cosa portatale in dono, in ringraziamento di quello che lei ha fatto per tutti, per tutti noi, compresi quelli che come me hanno solo condiviso il rumore della vita nel mondo. Era convinta che noi avessimo 4 figli, perché vedeva Cris giocare sempre con altri 3 compagni, ed era rimasta un pochino delusa quando le avevo spiegato che solo Cris era nostro figlio. Da alcuni giorni, come si fa per non far soffrire (credo con buone intenzioni) era in una clinica, dove mi dicono e spero sia stata accudita nel corpo. Ma io non ci dormo, a pensare che forse ieri sera era lì, mentre avrebbe potuto e forse voluto esser qui, nella sua casa, con le sue persone.
La sua casa è stata piena di persone, in questi mesi, un entrare ed uscire di presenze attente, col sollievo di avere il suo spazio per parlare con Maria anche senza poter andare di nuovo alla sua Casa. E’ stata curata come una figlia anche da un’altra mamma che ha molto sofferto, ma che ha dentro una capacità di dare che la rende straordinaria nel dare.Anche lei ha ascoltato i battiti, i colpi di tosse, e le lacrime. Ed è venuta alle 9,00 a dirmi di lei.
Non so perché stamattina alle 7, uscendo in terrazzo, mi è sembrato di scorgere un movimento nell’angolo dal quale ci vedevamo e salutavamo, e ho pensato che era un giorno di pioggia e di freddo, e che se fosse stata lì avrebbe comunque cercato il suo attimo, e che in quello ci saremmo salutate e guardate. Ma ho guardato meglio, e non c’era niente e nessuno (a cui poter sorridere) sul murettino. Nessun uccellino.