La parola aderenza ha per me un rinvio interno a qualcosa che reclama un distacco. Un separazione che deve essere prodotta con un taglio e attraverso un trauma. Questo significato mi risaliva in mente oggi tornando a leggere la raccolta di Antonella Taravella (Edizioni Smasher, 2012), che la porta nel titolo. E Aderenza è anche un contatto buono, una prossimità estremizzata, una sorta di assimilazione per contatto, una commistione che dichiara la sua impossibilità per il fatto stesso di esprimersi nel gesto dell’aderire, del porsi sopra, del ricalcare (in senso neurolinguistico). Un ricalco che è ricerca dell’altro (il corpo altro, l’amore altro, l’altro verso del senso, ma in empatia sia pure dolorosa).
I versi della raccolta, che dolorano e si dispiegano lungo il corpo di Antonella, che sembra essere così vicina alla modalità di Gina Pane dell’agire in scrittura, de-scrivono per esteso lungo il segno del verso sul corpo, e per questo forse teatralizzano con alcune forme della lingua qualcosa che non può stare nel quotidiano com’esso è. E’ un corpo che non suda ma si ferisce, che si offre e si dilunga come l’arco di Isadora alla ricerca di un contatto.
Non a caso i versi che lei ha scelto ad accompagnare le sezioni, accanto alle foto-installazioni intense di Cristina Rizzi Guelfi, vengono da luoghi della ricerca in versi che si fanno corpo, in senso verticale stando (Natalia Castaldi, Iole Toini, Massimo Botturi, Carmine Mangone, Patrizia Cavalli, e qui ringrazio Antonella per la bella sorpresa di alcuni miei versi accanto ai loro). Stando nel corpo senza inganno. E’ una raccolta densissima, che si accompagna nell’anno a La neve sulla porta (Catania, 2012), con tutt’altro indirizzo eppure portando intera la forma di Antonella. Qui il corpo è corpo di memoria, traccia che si sfilaccia come l’abito che bianco sta al bianco della pagina nelle foto di quei matrimoni, di quei veli, che svelano la perdita che è rossa, così com’era rosso al tratto il verso erotico e legato in nodi stretti di alcune forme di Aderenza.
Mi vengon su la maionese della Plath, ne La campana di vetro, i gesti inconsci, le ricerche, se penso ad Antonella. Una irruenza che si mordicchia l’unghia di ogni dito di ogni mano. E scrive. E’ bello averla qui, questa sua opera che veste bianco e segna rosso, e segna grigio. In aderenza a ciò che siamo, come quando tu dici: la fame, è un corpo senza riflesso.