
Perdersi. E come ci si perde?
Cosa si sperde? Essere un piccolo rigagnolo,
una fuoriuscita, un gorgo, un gioco erotico
di pioggia d’oro che innamora.
E predeterminare, che ci sia un arrivo,
e invece no, non ristagnare nella
previsione del tratto, che sia pur breve, oppure.
[Perdere la poesia di quelle bettole, le quasi
fetide che non frequenteremo mai,
vedere l’ultimo di quel regista che
a quindici anni abbiamo detto–
è nostro. E poi saperlo che non
si può ridefinire la distanza con
la simulazione dell’incontro.]
Atemporale. E quante nubi.
Letti disfatti, morsi ai polsi,
e mi si scomoda nel dentro
quella sottile tenerezza che ho
provato quando ho pensato
che tu avessi settant’anni.
Ed io volevo fartelo rizzare,
lo dico come i maschi,
più per bruciare quell’età così
molesta, quasi temendo che l’orzo
sperperasse la minestra.
Ma pensa, se si comincia
da una carezza più che spinta,
che si è insinuata allora
come una ruvida signora
fra le gambe, e ha detto:
no, non posso. Nemmeno
l’ombra del ritaglio, titolo sul
giornale. Ma noi i giornali
nemmeno li leggiamo. Ci
incartiamo, terra e pesci.
Siamo due angeli che si masturbano
negli angiporti, e Saffo ci interessa
solo per la sua molle temperanza
da lesbica incallita. Siamo così
capaci di dissacrare e poi
beatificare quando piangiamo
l’orlo del destino, il morso al
culo della morte. Siamo due maschi,
con il sesso in mano. E’ cominciato
lì, dove era quell’albergo, di cui noi due
frequentavamo solo il bagno,
tolette per signore e ombretto viola.
Ricordati di portare il burro in tavola,
che non sia mai ri-detto che a noi
non ci emozioni la sodomia del maschio
che conturba la famiglia. Mi fai spiare tutte
le signore, ed io ci gioco, come il dottore
nel libro base di ogni inizio sadomaso.
E sottosopra infine ci restiamo,
e nemmeno ci proviamo, a dire che
a noi ci dura, il duro. Si è fatto tardi,
e mi sarai per sempre caro,
come un piccolo colle senza colla,
a noi mica ci piace, essere cosa che
s’appiccica. Piuttosto, abbiamo dato,
e diamo, e dimoriamo.
Senza una casa, la poesia si mescola
al letame. E questo è un dono,
che consapevole restituisce il bene
e lo sconcerta in alto mare
il verbo incatenare. Miele di dodici
sirene cieche, senza pretese, in protesi di
amianto a cui possiamo sempre ritornare.
Bava di lumachine a riva, e schiuma d’altomare.
*
(a dirtyinbirdland, sinceramente
Roma, dicembre 2011)