Cara Matilde,
ho visto da poco un film che si snoda sul viaggio dei pellegrini a Santiago de Compostela. Ho quindi voglia, oggi, di tornare sul post che ospitava il racconto del tuo cammino per condividerti alcuni pensieri.
Da qualche anno inseguivo la comprensione del significato di questo cammino, e il dono della tua storia era stato un tassello importante sulla via della condivisione. Il film che ho visto l’altra sera, accoccolata sulle gambe dell’esposo, ha aggiunto un momento ulteriore di domanda.
Il film si apre sull’incontro di un uomo con questo cammino lungo la ricerca di un modo per stare accanto alla morte del figlio. Questo tema è per me, per ragioni che non hanno qui il loro luogo, dolorosamente presente in questi mesi. Da lì, questa riproduzione americana dell’esperienza che l’uomo fa completando un cammino che il figlio aveva desiderato, per poter tornare al proprio con il figlio nel cuore nonostante il suo incontro con l’oceano, è passata davanti ai miei occhi come una occasione che si fa avanti ancora una volta per pensare il Cammino.
Io e l’esposo abbiamo anche molto riso, pensando, come se dovessimo decidere fra poco di andare, di andare a scoprire, confrontandoci con le nostre finitezze. Cose minime, occidentalissime, miserelle nel senso migliore: io che fumo e faccio al massimo 3 km al giorno, lui che odia la promiscuità nei momenti del corpo, e domande come: e quando mai li avremo 3 mesi per farlo? In pensione? Poi, pian piano, il Cammino ha vinto, ed è sembrato possibile dentro di noi. Un cammino che si fa da soli che però nella nostra testa era da fare insieme, un pellegrinaggio che ognuno tiene come riserva di senso da disperdere in una esperienza di cui non puoi conoscere l’emozione finale.
Ed ecco che, a un certo punto, io mi sono guardata dentro e ho capito che il mio Cammino per Santiago c’è stato 4 anni fa. Quando siamo partiti, contro ogni ragionevole idea di certezza e aperti all’impensabile, al nuovo, a qualcosa che ti cambia la vita, per la Colombia. Di quel cammino ricordo tutto, ma la cosa che sento più vera è che quel cammino è venuto con noi al ritorno. E non solo perché ha portato un Cammino nella vita di nostro figlio, ma perché ha trasformato, rese del tutto differenti da prima, ridisegnato senza scampo dentro di noi, tutte le singole abitudini del quotidiano. Il modo di guardare, il valore che diamo alle cose. La complicità con cui sappiamo di non avere risposte per le cose, e la complicità con la quale abbiamo ricostruito un’etica. Il nostro Cammino è andato verso le Ande, dove Tiago è un nome che risuona. In un modo e in un luogo dove noi “non eravamo stati mai”. E’ stato uno spogliarsi di tutto e avere con noi l’essenziale, e timbrare le credenziali dell’amore e del dolore in molte stazioni. Incontrare l’altro come mai era stato prima, la storia dell’altro, la terra dell’altro, e non volerla trasformare, ma portare invece, al ritorno, quella storia, dentro la storia che è in ciascuno di noi. Quel cammino è durato 37 giorni, e tutto quello che è accaduto sembrava impossibile da affrontare (il lungo volo senza sigarette, una vita che è così diversa dalla tua da cambiarti per sempre, la nostalgia che avremo sempre per quei giorni e quel luogo) . Noi abbiamo avuto la nostra compostela, che ha consentito a noi di tornare qui con nostro figlio, e con tutto il suo mondo. Ecco, credo che lui sia la testimonianza che il viaggio è qui e ora, e che mettersi in cammino è molto più importante di restare. La nostra pietra l’abbiamo lasciata a Yopal, dove abbiamo dovuto sentire tutte le gioie e tutti i dolori, e a Bogotà, dove abbiamo convissuto per 20 giorni con chi faceva il proprio, di Cammino, con dentro mondi che non sapremo mai e non capiremo mai del tutto, ma che ci hanno cambiati per tutta la vita.
Domani saranno 29 anni che e io e l’esposo facciamo insieme un Cammino, e quasi quattro che San Tiago ha baciato la nostra ricerca e tutte le domande che ha dentro.
La vita, come il peyote, per stare a due film, non si sceglie, si vive, e non puoi cercarla, è sempre lei che trova te. Mi piacerebbe, ma ovviamente questa è solo una mia fantasia, e risponde al mio modo di trovare un senso alle cose, fare il Cammino per Santiago con Riccardo, forse con Cris, e magari con il nostro amico di cui non è importante qui dire.
Senza domane e senza fretta, ma sentendo ogni singola risposta come l’eco assordante della bellezza e della finitezza, che sa sfociare dove l’onda ribatte alla solidità della cattedrale, oltre Santiago, oltre il dolore e l’amore.
Per certo, cara Matilde, un pezzo del Cammino per Santiago l’ho fatto con te, attraverso lo scriversi, il dirsi e il darsi. E quindi grazie, cara Pellegrina, perché ci sei, e perché non hai tenuta nascosta mai la tua gioia nel viaggio. E per quanto mi riguarda, una delle credenziali è stata timbrata qui. E di questo, ti ringrazio. Con amore
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Questo post è collegato al racconto del Cammino che Matilde Cesaro mi ha donato