Lei prenotava e amava i ventagli di sfoglia,
li usava a volte per dar vento al fuoco,
e aspettava, in centro, i tavolini al café,
e in particolare uno me lo sento nostro.
Abbiamo detto lì, solamente tra donne ,
spiritosaggini savie e frivolezze cruciali.
E siamo andate in un altro, questa volta ai Prati.
per dare esattezza al vuoto del centro.
Ed era tutto femmina, comprese le borse,
sia le scure agli occhi che le prese con grazia
per farne colore di libreria africana
da lei che, ragazza, disegnava gatti
e difendeva i bambini regalando loro
le piccole pile da decostruire con zelo,
una volta intuita la fonte di luce.
Aveva fiori bianchi in seno al terrazzo
e una fedeltà struggente a ciascun amore.
E soprattutto ad uno. Al solo.
Avevamo sempre sin troppe sigarette
a mettere zitto il dire di noi. Ed era
il suo sguardo che indossava i suoi occhi,
e il corpicino snello li portava a spasso.
Lei non era un’isola, era un arcipelago,
come si conviene a chi pratica il sogno .
La parola ora mi si fa inesatta, si disturba ed esita,
se mi provo a dirle
(quale fosse dentro)
il sentimento del tè.
Lei con noi rideva dei miei tre porcospini
venuti i a Londra a dirmi
e portati al maestro
come da tre bambine,
col sorriso buono
sotto i baffi da uomo.
Tu che sei così ricca
lo sapevi per certo
quanto è sciocco pensare
che ci siano Gestalt
che è possibile chiudere,
o poter consumare d’un fiato stasera
l’amore e il dolore che mi dicono, te,
cenerina ai poeti.
Sono certa, coi poeti, anche i gatti
sapranno sognare con te.
Ciao Lilia.