E’ in corso lo sciopero che i sindacati degli insegnanti hanno indetto contro la riforma proposta dal Governo. Ieri, con nostro figlio, su sua richiesta, abbiamo parlato un po’ di questa riforma, e del significato e valore della scuola pubblica. E’ stato commovente, per noi, che lui abbia voluto capire e discuterne a pranzo e a cena. E che, come noi, abbia visto come positive alcune delle proposte che la riforma contiene, pur condividendo l’idea che si debba tutelare la qualità della scuola pubblica prima di ogni altra cosa. Anzi, se devo dire, la mia personale idea è che per la formazione primaria e secondaria, la scuola privata non dovrebbe neanche aver modo di esistere. In una visione quasi sovietica, penso che la scuola debba essere il luogo di massimo investimento dello stato. Accanto a quello della cura e della tutela dell’età terza e della disabilità. Accanto a questo, però, credo che debbano essere chiari e ricorrenti i criteri e i luoghi e i momenti di valutazione del lavoro degli insegnanti. Come genitore mi sono trovata a volte di fronte all’impossibilità di un dialogo e di un ascolto reciproco, in particolare nella scuola elementare e media inferiore che mio figlio ha frequentato, dove quella che, nella mia percezione, è una non conoscenza di metodi e strumenti (e spesso persino delle direttive MIUR accompagnata a una lsotanziale negazione del valore dei decreti delegati), mi hanno portata a considerare quasi sempre l’incontro con gli insegnanti come un luogo di scontro, spesso inutile. Ci sono ottimi insegnanti, preparatissimi e capaci di dialogo e sviluppo, in moltissime scuole, e questo deve essere riconosciuto e premiato. Così come, ci sono luoghi di inefficienza, parassitismo e incompetenza, che devono essere rimossi proprio per la delicatezza estrema del ruolo insegnante. Ci sono opportunità che la scuola deve saper creare, e devono essere valutati e premiati quei Presidi che nello specifico dei vincoli territoriali sanno offrire a ragazzi e ragazze, insegnanti e genitori, il meglio. Non sono gli anni a contare, ma i giorni: come vengono spesi per l’altro e non per sé stessi. Ci sono insegnanti che amano valutare, a volte sadicamente avvinti a criteri matematici, ma non tollerano che si voglia provare a capire come auto-valutarsi e farsi valutare. Questo perché la scuola è intrisa di retrive logiche di punizione e classificazione. Non posso sostenere una scuola che valuta i ragazzi e non vuol essere valutata; il raggiungimento di uno status professionale non è per sempre, si fonda su una relazione: con se stessi, coi colleghi, con i ragazzi e con i genitori. E con il territorio, la realtà e il mondo del lavoro. Se mai, mi piacerebbe si dedicassero energie a capire “come” valutarsi in ottica di formazione continua, e di adeguamento al mondo che cambia. Mi piacerebbe che si parlasse di burn out per gli insegnanti e che sapessero chiedere aiuto quando ne sono oggetto dolente, e che gli insegnanti sapessero dire, come alcuni egregiamente sanno fare, quello che ogni ragazzo o ragazza conosce e sa fare e può sviluppare, e non quello in che i ragazzi non sanno fare. In tre anni di consigli di classe, nella scuola media inferiore che ha frequentato mio figlio, non ho assistito, come rappresentante dei genitori, a un solo colloquio di gruppo costruttivo e attento al valore portato dai singoli studenti. E nessuno mai, fra quegli insegnanti, si è vergognato di dire ogni volta che, con poche eccezioni (un paio), su oltre 25 ragazzi quasi tutti erano svogliati, incapaci di completare i compiti e disattenti. Mi chiedo se questa percentuale discrediti i ragazzi o il lavoro fatto in classe… Ho visto comportamenti da me sentiti come al limite del sadismo nelle modalità di restituzione orale veloce alla fine degli esami di terza media date ai ragazzi che avevano appena completato il loro primo importante colloquio; ho visto ragazzi e ragazzi educati, ordinati, composti, accolti in commissione con le patacche sulle camice e il prendisole trasparente. Non si tratta di essere moralisti, si tratta di esigere il rispetto per i luoghi di formazione non solo ai contenuti ma ai rapporti, ai modi, alle forme di convivenza. Ho visto insegnanti presentarsi ai colloqui con logopedisti e neuropsichiatri, fissati per la pianificazione didattica individuale e previsti da mesi, esordendo per tre volte in tre anni con la frase: “mi scuso ma ho solo qualche minuto, mio figlio oggi non sta bene…”, e gli stessi insegnati disattendere tutte le indicazioni date dagli specialisti per rendere possibile una didattica a misura di persona. Oggi mio figlio frequenta un ottimo liceo pubblico, che è decisamente, nella nostra percezione, un luogo migliore di quelli che abbiamo incontrato prima. Ha ottimi insegnanti, che nella scuola pubblica si fanno carico di sopperire alla confusione e alla mancanza di risorse. Che cercano di capire e di ragionare con i ragazzi. Sarei felice se questa scuola pubblica, come le altre, potesse avere più fondi, più sponsor, e il nostro 5xmille, già da adesso. Se potesse far fare ai ragazzi più stage ed esperienze. Se fosse premiata per la qualità che esprime. E sono felice, e molto, di aver visto mio figlio farsi domande, e sentirsi libero di dire: io domani voglio entrare, perché secondo me è una buona riforma, anche se non condivido tutte tutte le cose che si propongono. Ma anche sarei contenta se fosse messa in discussione, con criteri oggettivi, quella vecchia scuola in cui mi sono sentita dire, come rappresentante di classe: siamo qui per darvi delle comunicazioni e non abbiamo tempo di ascoltare i genitori. Certo, è il mio personale vissuto e la mia percezione di esso, non pretendo che sia la ragione di una valutazione. Pretenderei però che ci fosse una scuola che permetta di fare domande sulla qualità degli insegnanti, e dei rapporti, e che valuti i presidi per come sanno valorizzarla o meno. Per quanto impopolare possa sembravi, io oggi penso questo ed ho voglia di condividerlo. Perché ci sia una scuola pubblica, e finalmente solo una scuola pubblica (questo chiederei a Renzi e al Governo, piuttosto che la salvaguardia di un status quo a volte avvilente), perché non si facciano concessioni alla scuola privata ma si prendano risorse a quella, e le risorse vengano destinate a rendere più viva e ricca la scuola di tutti, che è la radice di una democrazia, di un diritto e di una vera eguaglianza: capace di esprimere le differenze. Il mio augurio ai molti insegnanti in sciopero oggi è che la loro voce venga ascoltata quando chiede risorse, ritmi di lavoro umani, condizioni infrastrutturali sicure e moderne, reti telematiche potenti, spazi di vita vera, un investimento sulla scuola pubblica. Ma anche, che sappiano guardare alla qualità della vita, che comincia solo dove le cose possono cambiare, a partire dalle nostre.
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