E’ da molti giorni che penso che, ancora una volta, le cronache dei tempi, ci disabituano alle sfumature e ci abituano all’accetta. I temi della molestia, dell’abuso e dello stupro sono temi dolentissimi, di fronte ai quali solo le elaborazioni soggettive possono dire e sentire davvero. Credo però che ci sia bisogno di salvaguardare la capacità di guardare le cose e punirle penalmente e socialmente con la misura delle cose. Mi chiedevo ad esempio cosa ne fosse del dolore dichiarato nel tempo da Maria Schneider per la violazione della sua capacità di “reggere” l’urto dell’opera d’arte che le ha cambiato la vita, oltre ad andare a costituire un capolavoro assoluto della storia del cinema. Dove la molestia e abuso potremmo, in senso lato, non penale, vedere nella non commisurazione dei gesti di creazione artistica alla capacità della persona che la rende possibile di esprimere quello che potremmo infine definire, un consenso informato e consapevole. Quante volte questo accade? Giorni fa girava sul web un video girato nel mondo del porno per il quale una ragazza, coinvolta in videoriprese di tendenza s/m, faceva la cagnolina. Una delle protagoniste si diceva raggirata, poco informata sulla natura delle riprese (per la verità piuttosto esplicite e poco fraintendibili), dicendo di essere stata coinvolta per un video che doveva essere “musicale”. Ora, io credo che si debbano fare distinguo profondissimi fra una avance inopportuna a una cena fra adulti, una pressione nel mondo del lavoro che colleghi una prestazione sessuale a ritorni o concessioni, situazioni in cui le persone adulte sottovalutino le conseguenze individuali e sociali di esperienze sul momento desiderate, e atti di violenza non commensurabile come lo stupro, lo stupro di gruppo, la segregazione, l’umiliazione con coercizione. E questo riguarda, tutto questo, le donne e gli uomini. E il mondo indifeso dei minori. Minori verso i quali non possiamo considerare nessuna forma di “consenso informato”, ma solo configurare un contesto abusante, perché non ci sono, per definizione primaria, gli estremi per valutare il danno, né per oporre resistenza. Eppure, complessità nella complessità, anche come adulte e adulti, siamo esposti, poiché non sempre, nell’adesso e nel tempo, siamo davvero liberi di dire sì o no. O fino a che punto. Ci vincolano desideri, bisogni, a volte impossibili autonomie. Ci vincolano sottoculture maschiliste e violente, e persino, a volte, modelli femminili avvinti alle logiche di sopruso. Ora, io credo che la storia di Kevin Spacey bambino, che solo nel suo intimo può essere conosciuta e guadata, non giustifichi, ma possa portare a guardare le cose alla luce di una diseducazione sentimentale dolorosa e compromessa. E che questo lo renda diverso, ad esempio, da un branco di adolescenti sequestratori e aguzzini che abusano ripetutamente di una disabile. La molestia esercitata ha caratteristiche e peso differenti. Non più ammissibile, ma da guardare nell’equilibrio delle sfumature. Altrimenti, finiremo per considerare gli stupri di branco alla stregua di una avance pesante, o di una richiesta forzosa. Non credo che il concetto di abuso, con le devastanti ricadute che ha nella vita delle persone, possa e debba essere esteso. Le luci della ribalta non aiutano la causa delle donne violate, dei minori abusati, degli adulti e adulte sottoposti a pressioni di natura sessuale e non nei luoghi di lavoro e nel sociale. Non credo che le denunce al produttore di Hollywood siano più importanti della denuncia della migrante che ha registrato il medico italiano nell’esercizio di una violenza inammissibile. Ho onestamente più tenerezza per la giovane migrante di quanta non ne abbia per chiunque, uomo o donna adulto/a si trovi in una situazione di ricatto esplicito, e scientemente decida di stare nel gioco. Pessimo gioco, pessima cultura del sesso come moneta di scambio. Che purtroppo può trasformarsi, e spesso si trasforma, odioso, in reato, in violenza diretta o indiretta, in qualcosa di orribile. Che lascia feriti, che disanima. E che deve essere contrastato e denunciato. Ma non vorrei che nel guardare le cose sotto le luci dei set e del mondo poco usuale di attori, attrici, produttori e aspiranti, ci si dimentichi dei “piccoli affari sporchi di tutti i giorni”. Non vorrei che la logica dello “stare in un sistema” anche soffrendolo diventi alla lunga una svista sulle realtà di quei sistemi, molto meno capaci di ritorno, in cui la violenza è nell’oscurità delle case e delle chiese e della scuole. Delle aziende e dei paesi che son anche città. Che non abbiamo amato.
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Le città che non abbiamo amato
