Sta per arrivare in sala “Il Verdetto” (The Children Act), di Richard Eyre, già regista di “Iris, un amore vero” e di “Diario di uno scandalo”. In tempi come questi, animati da sentimenti ricalcati sulla parabola dell’odio, e spesso incalzati da tinteggiature estreme, nella realtà quanto al cinema, è un respiro grande quello che si ritrova a vedere questo film. Stilisticamente perfetto, guidato magistralmente dalla sceneggiatura di McEwan, ha una serie di incanti lacerati e laceranti, che restituiscono infine, su una piattaforma petrolifera come nel silenzio di un antico Von Triers, la profondità non nominabile e pure di continuo nominata nei gesti, nei versi, nei sogni, della parola amore. Un amore che è forma e ferita nei luoghi genitoriali, e che permea ogni minuto del film cucendo intorno al rapporto di coppia della protagonista una tessitura finissima di incanto, onestà e bellezza. Già tantissimo avevo amato il libro, che ho trovato essere, fra i romanzi in cui si tocca il verso della domanda esistenziale soggettiva e di coppia, uno dei più belli e intensi di questi anni. Ma devo dire che il film, con una fotografia delicatissima dai colori un po’ sopiti eppur intensi, con dialoghi stringati e dolenti, con una mimica straordinaria nel non verbale degli attori, restituisce al libro una trasposizione toccante e benedetta. Una delicatissima, infinita discesa nelle domande dell’adolescenza e dell’età forte, un incedere senza retorica nella prossimità a una maturità autunnale potente e dilatata. La voce di Emma Thomson che canta arriva dritto sotto l’argine del cuore, e lì si ferma. Un’amarissima stilla di tremore e di amore di cui si sente oggi un fondamentale, spesso vano, bisogno.