Questa estate ho portato con me una ventina di libri che speravo, pensavo, di voler leggere nelle due settimane di vacanza. Una ventina perché io appartengo a quel gruppo di formiche matte che i libri li prendono, li lasciano, li riprendono, li tengono vicino per mesi come un tarlo d’urgenza, e poi d’un tratto li divorano o li ripongono per un sempre nello scaffale alfabetico di casa, senza un eccesso di senso di colpa sebbene nessuna casa interiore sia al riparo da un autodafé.
La Sila però, quest’anno, era davvero troppo bella, ed ho avuto la fortuna di avere amici, compleanni, cuccioli di cane e cani in prossimità affamata da nutrire, dialoghi da lasciar scorrere, laghetti da visitare, e persino un po’ di libri e dischi che si sono aggiunti all’andare, e così è stato che della ventina di volumetti hanno trovato spazio nel tempo delle due settimane troppo brevi, solo tre o quatro letture vere (e riletture o ascolti).
Fra queste, il primo libro di Franca Paganetto, che aveva (già da Roma) creato in me il suo spazio in una prima e commossa lettura, e che in Sila ho riletto, riamato e compreso anche in un’ottica differente.
Dove andiamo, papà, con questo suo titolo che già da solo è un antro di tenerezza che ospita e precipita (ha lo stesso titolo un altro libro, francese e bello pure quello, ospite di una vicenda di paternità dolente e intelligente fino allo strazio), è il primo libro che Franca Paganetto scrive nel 2009. Esce in quell’ottobre per le Edizioni Libero di Scrivere, con una bella prefazione di Gianni Priano.
In sottotitolo, il libro recita: “Genova, Gallerie delle Grazie, 23 ottobre 1942: trecentocinquantaquattro morti nella ressa, dopo la sirena d’allarme, per cominciare a dirci della vita durante e dopo la guerra”. In copertina, in una foto del 42, il padre della piccola Franca, con lei e la sorellina Bruna a cavallo di uno steccato.
Il libro, che è commovente, femminile nel senso più pieno, intelligente e dolente in ogni pagina, nasce nella vita di Franca da un’occasione di intervista. Ed io che ho fatto delle interviste biografiche uno dei punti di ricerca della mia vita, fremo non poco nel vedere come da una domanda ancora non posta nasca e si dipani, come una matassa a tratti calda a tratti serica, un racconto autobiografico che si snoda e si rigenera da sé.
Comincia, questa storia, da una perdita familiare dolorosissima, da una morte collettiva, e da un gesto che salva. Da una gamba ferita, che resterà per anni a testimoniare quel trauma, da una bambina che si affida e affida, e da un tremore diffuso.
La bellezza del racconto di Franca Paganetto, che non so come ringraziare per il dono diretto di questo prezioso racconto (è stata lei a portarlo fino a me con suo figlio Maurizio), è nel saper essere non solo una storia di donna, familiare e di luoghi (toccante, sincera, priva di retorica e densa di sentimenti interni), ma anche uno spaccato preciso e annotato (con grazia e puntualità) di sentimenti degli anni. Quegli anni, che han visto essere la guerra, la fame, il lavorio delle donne e degli uomini, le canzoni d’amore e la televisione.
Si intrecciano qui i vissuti di questa bimba che: perde e ritrova e riprova. Le sorellanze, gli innamoramenti, le gonne e il cinematografo. Il matrimonio, i matrimoni, le vedovanze e le famiglie allargate. Tutto il disaggio di far parte, di colpo, di nuove famiglie, il non saper ancora ed il sapere già.
Per paradosso, benché racconti di un’Italia che è altrove nel tempo, mi è parso, il racconto di Franca, di una bruciante attualità, sia storica sia sentimentale. Un po’ come accade quando si legge nel libro di Elsa Morante che racconta La storia, lo stupro da cui poi nasce Useppe. E’ tutto, terribilmente, ancora vero: la guerra, i distacchi, le nuove famiglie, le canzoni d’amore.
Credo che sarebbe un bel libro da far leggere ai ragazzi delle terze liceo, un bel libro per raccontare il confine fra personale e sociale. E per certo un bellissimo modo per evidenziare, sottolineare e vedere come la scrittura ( e la scrittura di sé) entri a passo lieve nella vite delle persone: per cambiarle, per aprirle come si fa con un libro che si inizia a leggere: per la prima, la seconda, la terza volta.
Franca mi ha donato anche il suo secondo libro, io però adesso me ne sto qui con questo, che ho davvero molto amato e sentito. Con un invito, ai miei amici che fanno scuola ai ragazzi, a pensarlo fra le possibili scelte per i libri da leggere a scuola, perché non solo nella letteratura ufficiale abita il battito profondo e sincero e accurato, elegante e discreto, della vita e della storia.
Grazie mille, Franca, per avermi portata con te dentro e fuori da quel grido perduto in silenzio (di tua sorella e tua madre), e poi ancora fuori da lì, fino a quando la madre sai diventata tu.
(Roma, 30 agosto 2013)