Ti amo troppo e lo specifico del femminicidio: ieri leggevo un post che descriveva una deriva che la storia prende quando viene smarrito il senso di una coscienza del danno. E che citava la parola femminicidio come assimilabile a questa forma di delitto. Almeno, questo ho capito. Mi porto dietro da ieri il desiderio di tornare su questo tema, per quello che di davvero specifico il femminicidio contiene. E questo specifico mi sembra essere dato dal fatto che una donna viene uccisa, spesso dopo iterate manifestazioni di disprezzo della sua integrità, in quanto donna. In quanto oggetto di desiderio, possesso e malinteso senso di prossimità all’altro (che sia un coniuge, un fidanzato, un amante rifiutato, un vicino di casa) che vede come legittima la soppressione violenta del rifiuto a questa stessa prossimità. L’altro elemento che mi sembra lo caratterizzi, in molti casi, è l’ambivalenza della vittima nel sentimento di paura, di amore e di tensione al recupero di una verità di relazione, che è davvero tutta femminile. Il femminile contiene una prospettiva di generazione di vita, e di confidenza alla morte, che è propria di un corpo che storicamente attua l’accoglienza, la nascita, lo svezzamento, la ciclicità attraverso la perdita di potenziale di vita nelle mestruazioni, e la cura di sé e dell’altro. Solo che spesso, proprio in nome di questo potenziale di genere così forte e vitale, quella che viene meno è proprio la cura di sé. Ci si espone al rischio della soppressione, e nel caso del femminicidio se ne resta vittime. Questa è una delle ragioni di gratitudine agli amici ed amiche di Corvo Rosso, e a Gilberto Gavioli che tanto fa con loro, per la mostra Ti amo troppo che approda a Roma a fine mese, e invade un centro commerciale, occupando uno spazio che è quello dei fidanzati, delle famiglie, delle persone in cerca di cose e persone, e quindi bisognoso di richiamo all’attenzione alla cura di sé nella cura dell’altro. Benvenuti a Roma, il 31 ottobre, ad Euroma2–
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