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Non è solo un film sul lavoro, l’ultimo lavoro dei fratelli Dardenne. Due giorni, una notte è un ritratto in 48 ore di alcune fra le più delicate dinamiche personali e sociali del nostro tempo.

Se la vicenda lavorativa e di sfruttamento e ricatto del pane è quella che tiene coesa la narrazione, al suo intorno gravitano molti altri temi cari alle nostre vite di oggi. Le modalità di ottimizzazione dei profitti nelle fabbriche e nelle aziende, la precarietà dei contratti a termine e la loro dimensione implicitamente ricattatoria, le dinamiche di potere legate al non detto, gli stili di gestione delle persone nel lavoro tutt’altro che a loro misura, la sostanziale sudditanza economica di gran parte dell’universo produttivo reintrodotta dalla crisi, la violenza domestica accentuata dal tratto del disaccordo e legittimata dalle porte che si chiudono in faccia alla protagonista, la cura dei figli delegata alle figure femminili nello spazio del case, e non ultima la confusione che regna sovrana sul rapporto efficienza/depressione. La solitudine di chi esce temporaneamente dal lavoro e non ci torna se non sotto etichetta, le dinamiche amorose toccate nella depressione dal bisogno di conferme e di cura, la cura tutta farmacologica a cui è condannato chi per reddito non accede alle risorse terapeutiche “orali”, la sessualità che cambia al presentarsi della genitorialità e della depressione.

E’ un film, questo dei Dardenne, così ricco da lasciare spazio per moltissime domande, sul nostro stare, vivere e pensare. Sul nostro modo di essere con gli altri, sulla convivenza multietnica tutta francese descritta così bene e oramai parte fondamentale del vivere europeo, ancora tutta da capire e da restituire alla coscienza come ricchezza e non come un ingombro.

E persino la vicenda operaia, così ben connotata, è esportabile tout-court alle molte consimili dinamiche del lavoro terziario, del lavoro professionale, non diversamente animate da accadimenti e sentimenti del tutto paralleli.

Insomma, una visione toccante, educativa e in qualche modo formativa. Una storia che accarezza e confonde, che schiaffeggia e ci smuove. Con una prevalenza scenica delle persone sui luoghi che sembra essere anch’essa programmatica e preziosa.

E una salvaguardia dell’idea di una coppia che si fonda sull’amore, sulla fiducia nel poter prendersi cura e curare. Sono davvero  felice di riaver trascorso 100 e rotti minuti di cinema denso e bello con i Dardenne– Mi sono battuta bene per una felice occupazione del tempo e del mio sentimento del mondo.


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