Ho visto finalmente, giorni fa, la giovinezza– vedendo Youth, di Paolo Sorrentino, L’ho vista come può vederla chi compie, a breve, 50 anni. L’ho vista scorrere fra rughe e dighe, nel perimetro un po’ incerto nell’immenso di montagna, di quell’Hotel del Sud Tirolo. L’ho vista dolce, irrompere per tatto sulla pelle, esercitarsi alla play station, vibrare nell’illudersi di avere specchio in una mente che si addentra e in una che dirada, nel cerchio steso a letto. L’ho vista fremere fra dita che si stringono su carta di Rossana, inerpicarsi su una passeggiata come fosse una scalata, appendersi a domande. Stare nel sonno accanto al sogno, dimenticare il sesso e ripescarlo travestito da contesa, da gioco da ragazzi. L’ho vista femminile, ridetta dallo sguardo maschio. L’ho vista che brillava sotto gli occhi. L’ho vista stare nel futuro che si dice, nel non voler vedere. L’ho vista fatta di promesse ad ora tarda, esecuzioni che riaprono e sconfessano e accarezzano. L’ho vita nella perfezione dentro a un’altra perfezione. L’ho vita intima, scontrosa e disattenta.
Mi sono chiesta come sia la vita fra i miei 50 che sovvengono e i 70 che si toccano con l’acqua. Mi sono detta che spaventa, se siamo solo pelle che si sfrega, sudore che ci imperla. Mi sono detta che è qualcosa che ha a che fare con la magia del senso, e con lo smarrimento. Col salto a vuoto, e con quel battito che gonfia tutta la difesa di un corpo messo a lato, in sfinimento.
Mi sono detta anche è paura che sorprende, salute che dichiara guerra ad ogni stento. Io non ci vado, al cinema, per dire intorno al cinema. Ci vado come vado a fare musica, ascoltando. Mi sono sentita bene, infine. Mi son sentita ritrovata e anche un po’ smarrita. Mi son sentita accarezzata da ogni piega di tormento, da ogni sorriso a mezzo viso. E’ storia di confine, nulla che parli ai tarli di ogni giorno, in apparenza. Eppure, è storia di tasselli. Ed è un sola prospettiva, riparo dal vissuto che trapassa gruppi e luoghi e vite, e mondo. E’ mondo altro. Eppure, i temi sono quelli. Se ci si guarda dentro, gemello al film che Morettiani possiam sentire più vicino al nostro verbo.
La giovinezza sa giocarsi il tatto, tutti i giorni, di odori e di colori si fa bella. Tutto coperto, dopo. Persino nudi siamo vestiti di sconcerto. Non siamo l’onda, la bellezza. Almeno, non quella a cui non serve alcun ricordo. Ho amato tutto, le mucche, la ferocia della Fonda, e le canzoni facili eseguite solo a mente. Che si rivelano, si spiegano, lo inseguono. Ho amato i sassi, ed il dolore ed il piacere e poi il dolore. I padri che sanno sempre quando i figli fan finta di dormire.
Molto più bello (di ogni suo altro)… forse soltanto “this must be the place” raggiunge questo anello. L’anello che non tiene e tiene, e ci in-trattiene. E non ci lega, anzi ci lascia lì, cadere–
E noi cadiamo, soffriamo all’infinito, ci innamoriamo all’infinito.
Non fate i critici, vedetelo come si guarda un luogo interno a un sogno, un pezzettino di universo. Sono le conseguenze dell’amore che ci mantengono al riparo dal tranello.