Remember, un lupo nella pioggia che smemora

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Ho finalmente visto Remember, di Atom Egoyan. Con infinita tenerezza e una immersione nel valore dello smemorare.

Prima di essere un film che tocca e bene i sentimenti dei sopravvissuti, e il sentimento e il desiderio di vendetta, la testarda vocazione alla memoria che salva da un non perduto disperare, è un film toccante e bellissimo sulla complessità di ogni persona.

Sull’intimo  rapporto fra storia personale e storia collettiva, con una stretta intorno a come ognuno cerchi, e trovi, una sua strada per il possibile contenimento di quello che la storia sua (e a volte quella ch’è anche d’altri) ritaglia ed apre, ferisce e disamora. O che innamora lasciandoci però votati ad essere svuotati sempre.

La storia cieca è una storia di giustizia che si insegue, di punizione che si desidera e si compie. Catartica ed immemore dell’oggi. La storia illuminata, al chiaro del mattino, è invece quella della perdita: la perdita che tocca chi innamora e si innamora, la perdita dei gesti quotidiani nella salvezza nei gesti quotidiani, la perdita della memoria e la sua ben salda salvaguardia sulla custodia dello scritto. Il libro, e poi la lettera, e quello che rimane nel gesto che ci fotografa negli anni.

I novant’anni del protagonista, portati in treno al confine con il Canada, l’amore per la musica, la docile insistenza delle dita al pianoforte nonostante gli anni, la tenerezza che si muta in rabbia, e molte delle storie di persecuzione che si toccano di scena in scena, di dialogo in dialogo: quella paura dei cani di chi conosce i campi, il sentimento della pioggia che è dei lupi che si allertano, quelle carezze sullo scorrere, quel non vedere che sta insieme al perdere il ricordo.

E il sentimento del nome che ci nutre, come se il nome solo ci dicesse, persino nascondendo. E la febbrile  luccicanza di quella dolorosa e acuta fitta che ritorna nella mente che dirada quando sente ripetere, come se fosse un mantra di espiazione, Ruth è morta.

Le armi americane, la perfezione delle case di riposo, la comunanza fragile di chi risiede nello spazio asettico che non è casa e non è mondo.

Con grande tenerezza, che si avvicina a certe malinconiche atmosfere quasi Chandler, con quello sguardo che ricorda Bogart nel protagonista, credo che sia davvero un film che non si deve perdere, che non si deve tralasciare.

La rimozione che ci salva è fatta per svelarsi, ma solo se insistiamo. Perché altrimenti, ci accarezza come noi la pioggia dietro un vetro.

 

 

 

 

 


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